Integrazione e Formazione del Volontario
Per poter svolgere al meglio il loro ruolo, i Volontari, è necessario che non vengano abbandonati dagli operatori della struttura in cui operano, ma viceversa, dovranno essere aiutati a sviluppare il senso di appartenenza favorendo condivisione e coordinamento delle finalità operative, attraverso un rapporto di corretta partecipazione, nel rispetto dei singoli ruoli atti a convergere nell’unico ed esclusivo fine quale quello di rendere sempre più efficaci e determinanti, nell’interesse dei reclusi degli interventi di natura trattamentale. In riferimento a questa necessità, cioè di un sinergico coordinamento e di una reale 'integrazione tra tutte le figure che operano in un penitenziario, si ritiene opportuno rammentare che lo stesso art. 4 del Regolamento di esecuzione prevede che gli interventi trattamentali sul detenuto devono essere posti in essere da "ciascun operatore professionale e volontario e devono realizzarsi nell’ambito di una corretta integrazione e collaborazione".
In merito torna utile citare la circolare n. 3196/5646 del 3 febbraio 1987 che molti chiaramente prevede l’opportunità che alle riunioni del gruppo di osservazione e trattamento, partecipino anche gli assistenti volontari che ovviamente risultino in possesso dei requisiti e delle professionalità tali da apportare un contributo per la soluzione delle problematiche dei soggetti detenuti.
E’ necessario ed ineludibile che ogni singolo volontario possa avere un'adeguata formazione mirata alla conoscenza del settore, , ed in particolare, acquisisca le opportune nozioni e chiarimenti sulle norme che regolamentano la vita interna e le peculiarità organizzative dell'istituto in cui dovrà operare. Sarà opportuno consentire il Volontario a partecipare a corsi di formazione, qualificazione e aggiornamento rivolti non esclusivamente ai singoli volontari, ma integrati con la partecipazione di tutte le altre figure professionali, con particolare attenzione a quelle che concretamente lavoreranno insieme a loro. Non deve trascurarsi, come sta già avvenendo nell’ambito delle varie categorie professionali che operano nel carcere, di iniziare a pensare a determinare sempre più settori di specializzazione anche tra i volontari che operano nel carcere. auspicando specializzazioni che possano consentire di operare con maggiore incisività, in riferimento alle problematiche quali la tossicodipendenza, extracomunitari ecc. ecc.
E’ nostro convincimento, consolidato, che la detenzione non debba costituire l’unica possibilità per scontare un debito con la giustizia, ma che debbano essere previste modalità alternative e il carcere stesso sia, sempre e comunque, una struttura che abbia la capacità di interagire con il territorio, in modo da favorire il reinserimento nella società, evitando di provocare ulteriore emarginazione o esclusione, ritenendo cosa condivisa oramai che per la società sia meglio prevenire che reprimere, come peraltro ampiamente e chiaramente espresso dalla nostra Costituzione – vedi art. 3.
La realtà che viviamo ogni giorno è purtroppo ben diversa. E’ difficile ottenere le misure alternative, previste dalla legge, perché, a nostro avviso, mancano le opportunità di lavoro e, per molti extracomunitari è carente la disponibilità di reperire alloggio. E’ altrettanto difficile il reinserimento perché, oltre ai problemi quali la carenza di lavoro, perdura spesso quella mentalità che condanna anche quando si è pagato il proprio debito con la giustizia, emarginando, isolando e rifiutando l’ex detenuto.
Alla luce delle considerazioni anzidette scaturiscono una serie di domande a cui siamo chiamati a darci una risposta: come volontari quali attenzioni dovremmo meglio sviluppare in tale ottica? Quale attenzione e quale spazio temporale riserviamo, nello svolgimento della nostra azione, alla presenza visibile e concreta sul territorio, al coinvolgimento di realtà diverse quali la scuola, l’associazionismo, l’imprenditoria, la parrocchia? Qual è il reale supporto che riusciamo ad offriamo alle famiglie dei detenuti? Quanto siamo capaci di saper incidere sull’opinione pubblica, sulla mentalità in genere della gente comune per sradicare e cambiare certi pregiudizi? Quale proposte abbiamo concretizzato da sottoporre ad enti ed istituzioni pubbliche perché quanto sin qui affermato si trasformi in realtà?
Un ulteriore elemento su cui operare con caparbia determinazione è quello rappresentato dall’individualismo e dalla frammentazione delle iniziative. E’ agevolmente riscontrabile, anche se in misura minore rispetto ad altri settori, che esistono molte associazioni di volontariato che, in modi diversi, operano nell’ambito della giustizia ma che purtroppo esiste tra loro una grande frammentazione. Ognuna di loro tende a lavorare per proprio conto, senza conoscere ciò che fanno gli altri e senza ricercare una concreta collaborazione favorendone lo sviluppo sinergico, fatto questo peraltro favorito anche dalla legislazione che ancora parla all’art. 78 di volontari singoli.
Come abbiamo constatato nel corso di queste righe, molte sono le domande che ci siamo posti, però ci siamo resi conto che la possibilità di trovare risposte concrete è legata alla disponibilità e nella capacità di sapersi confrontare, nell’ambito di un cammino di formazione permanente. Al volontariato, generalmente e per fortuna, non mancano motivazioni, buona volontà e tanto spirito di sacrificio, occorre però trovare e dedicare più tempo a una formazione che consenta di acquisire una visione più professionale dei problemi che si affrontano, di conoscere le possibilità che l’organizzazione degli enti istituzionali prevedono, di cominciare a lavorare in sinergica collaborazione con altre associazioni condividendo una comune progettualità, cercando tutti i modi possibili per stimolare la società, le istituzioni, la comunità.